Le voci di Ferai: Raffaella Ruiu (di Roberta Mossa)

Ciao Raffaella, piccola introduzione: chi sei, di cosa ti occupi, insomma come ti presenteresti ai nostri lettori?

Ho sempre avuto un po’ di difficoltà con le presentazioni, mi sembra di dover per forza mettere un’etichetta e fissare dei paletti su chi sono. In ogni caso ci provo.

La presentazione è sempre la parte più difficile!

Mi chiamo Raffaella, ho festeggiato i miei 39 anni in lockdown ma ho la fortuna di avere persone speciali nella mia vita che lo hanno reso comunque bello. Sono socia fondatrice e lavoro per l’Associazione Codice Segreto Onlus che si occupa di attività artistiche, ricreative e di stimolo per l’autonomia individuale per giovani e meno giovani con disabilità intellettiva. Codice Segreto è la mia seconda famiglia, il mio porto sicuro, una delle cose fondamentali della mia vita. Sono curiosa, testarda, affidabile, puntigliosa e rompiscatole.

Una mia curiosità Raffaella: come e perché sei arrivata a Codice Segreto?

Codice Segreto nasce ufficialmente nel 2010 dalla volontà di un gruppo di amici, che facevano parte di un’associazione culturale che si occupava teatro amatoriale, di creare qualcosa di proprio e condividere la loro passione per il palcoscenico. Ufficiosamente nasce molto prima, nel 2008 quando alcuni di quegli amici hanno vissuto settimana intensa di volontariato durante una manifestazione sportiva con atleti diversamente abili. Quella settimana ha lasciato un segno importante nell’animo di tutti e da lì è stato più che naturale che le strade si intrecciassero fino a diventare un’unica realtà.

Quindi si può dire che la fondazione di Codice e la passione per il teatro sono andati – quasi – di pari passo?

Diciamo che prima che Codice nascesse il teatro faceva già parte della mia vita, in maniera differente. Quello che accomuna queste realtà all’interno della mia vita è sicuramente la voglia di fare sempre qualcosa di nuovo, di salire un altro gradino. Con tutta l’ansia, la paura e i pensieri che questo comporta nella mia mente fin troppo sincronizzata con la routine quotidiana. La novità è fonte di effervescenza, ma anche di preoccupazione, sempre.

La cosa più bella del tuo lavoro?

Credo la certezza di sapere che avrò sempre qualcuno accanto, nei momenti felici, come in quelli tristi, nelle scelte e nei tentennamenti. E gli sguardi, quegli occhi che ti scandagliano dentro in venti secondi senza darti il tempo di nascondere niente. E gli abbracci, quelli che ora mi mancano.

Ecco, come ve la siete cavata col lockdown? I ragazzi l’hanno vissuta bene, siete riusciti a continuare le attività?

È stato un po’ difficoltoso. Alcune attività si sono necessariamente dovute interrompere perché comportano le necessità di una presenza fisica, altre sono continuate con i metodi telematici a disposizione: ci sono state e ci sono attività didattiche, attività di supporto e di ascolto, videochiamate multiple e infinite, dirette facebook, messaggi… insomma, tutto ciò che può servire perché i progressi ottenuti durante tutto l’anno non vadano persi e per continuare ad essere presenti nonostante la lontananza fisica forzata.

E invece riguardo il teatro qual è lo spettacolo di Ferai che hai amato di più? Io personalmente ho adorato Ada in “Maria Gratia Plena” e anche in “Libera nos a malo” ma scommetto che è stato anche il tuo preferito!

Ada Lobina è certamente un personaggio che, una volta incontrato, ti rimane attaccato addosso, si ruba un pezzetto della tua anima, quindi si, posso dire che “Maria Gratia Plena” e “Libera nos a malo” siano gli spettacoli a cui sono più legata. Però c’è un altro spettacolo a cui sono particolarmente legata, “Silvery Fox”, per la libertà assoluta con cui l’ho vissuto e per tutti i rimandi che si è portato dietro e che ritornano, sempre.

Hai affrontato l’esperienza di fare la regia de “La Passione che ha salvato il mondo”. Com’è stato? Cosa consiglieresti a chi decide per la prima volta di fare la regia di uno spettacolo?

Una regia è sicuramente impegnativa e mette in campo energie e metodologie totalmente diverse da quelle che si utilizzano da “semplice” attore. Devi trasformare tutte le immagini, le sensazioni, gli odori, i movimenti che hai nella tua testa in qualcosa che possa suscitare le stesse emozioni in chi guarda. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di buttarsi, di non aver paura di tentare e poi correggere di prova in prova le intuizioni avute, in base a ciò che si crea quando le diverse anime che lavoreranno a quello spettacolo si incontrano. Inizialmente ero spaventata all’idea, ma poi piano piano tutto si è sciolto, anche grazie agli splendidi colleghi con cui ho avuto la fortuna di lavorare.

Hai in programma di scrivere qualcosa di tuo?

Scrivere mi è sempre piaciuto. Per il momento ti dico di no, ma in futuro, chissà…

Roberta Mossa